giovedì 6 dicembre 2012

Living in NY – for just one week


Sì ma dovrò pur raccontare cosa ho visto a NY!
Comincio con il dirvi cosa non ho visto: un sacco di cose.
Non ho visto il Guggenheim, il Met, il MoMa…



Il Natural History Museum... questo almeno l'ho visto

Non sono stato in cima a un grattacielo, non ho preso il battello per Ellis Island, né per la Statua della Libertà.
Sono rimasto con la curiosità dentro di chi ha aperto un libro e ha letto qualche pagina a caso.

Ma ho visto lo spettacolo di luci che è New York vista dall’aereo di notte. Ho la fortuna di avere un posto di fianco al finestrino e sul lato giusto.
Dal buio totale che erano il West e il MidWest si vola verso la luce, come falene attratte dallo sfavillio delle luci dei grattacieli, di una città che brilla di luce propria e diffonde tutto intorno sull’Hudson e sul East River la propria lucentezza.
Si discende verso la pista di atterraggio volando a bassa quota, proprio davanti a Lower Manhattan.


New Jersey City vista dall'altro lato dell'Hudson River

Si vede pure la Statua della Libertà!
La civiltà, finalmente. Dopo 5 mesi trascorsi in mezzo al nulla, in uno stato - il Wyoming - i cui abitanti - mezzo milione - potrebbero essere racchiusi in una manciata di questi grattacieli di Manhattan.
Volgarmente belli. Non volgarmente brutti e inutili come il grattacielo che sta crescendo a Torino.
New York è un film, ho pensato quando, alla mia prima uscita ad Harlem, ho assistito a performances improvvisate tra piano e cantanti jazz che, tra un bicchierino e l'altro, si alternavano in un locale storico di Harlem.

Ma ho visto anche l’esagerazione, che non poteva certo mancare nella città piu' grande d'America.

Ho visto Times Square illuminata a giorno dalle miriadi di insegne luminose, che scorrono tutt’intorno a te in un turbine di immagini pubblicitarie che cercano di attirare la tua attenzione.


Times Square

Ho assistito alle nervose misure di sicurezza attorno a Ground Zero, con poliziotti che mi ordinano di “non fermarmi” mentre passavo in bici con uno zaino sulle spalle - mi hanno forse preso per un potenziale kamikaze alla guida di una bici-bomba? E poco dopo, gli addetti alla sicurezza che disperdono improvvisamente la coda all’ingresso del memoriale: “Ci dispiace, dovete disperdervi. Andate a prendervi un caffè, non potete più aspettare il vostro turno qui. Motivi di sicurezza. Tornate tra un po’”.
Ho visto l’esagerazione del traffico alle 2 di notte nella Lower East Side. Un tempo quartiere alternativo, ora è diventato super trendy. La gente arriva qui in taxi (peraltro molto a buon prezzo, anche di notte). Molti locali fanno selezione all’ingresso. Una sorta di Quadrilatero Romano di Torino, proiettato a New York. C’era così tanta gente che non ci facevano neanche entrare nei locali (“siete 6 maschi, andate e tornate con un paio di ragazze”).

Ma ho visto anche la vitalità e intraprendenza della gente che ci abita.
Sono stato imbucato alla festa alla Columbia University organizzata dagli studenti della Business School. Uno si immagina un manipolo di figli di papà cabinotti pariolini sanbabilini fighetti snob che se la tirano, ma questi ragazzi, che arrivano da tutte le parti del mondo, si fanno in quattro ogni giovedì sera per organizzare una serata dove si mangia, si beve, si balla e si canta. Gratis.
La gente nei parchi. Persone con origini e storie di vita diverse, ma che si ritrovano a improvvisare jam session e coinvolgere chiunque, per cantare, ma anche ballare, e pure per pattinare con i pattini ante rollerblades. O anche solo per 4 chiacchiere.

La gente in bici (me compreso): se togli la moltitudine di taxi gialli e le auto della polizia, rimangono quasi solo le due ruote, e le piste ciclabili ti portano ovunque. E fra ciclisti c'e' solidarieta'.


la Midtown di Manhattan vista dalla pista ciclabile del ponte di Williamsburg

La gente per strada che dopo 1 minuto ti tratta come un amico, anche se non ti ha mai visto in giro e mai ti rivedrà. I
ncontrare la gente nuova a Nuova York e' come toccare l'acqua alla foce di un fiume: sai da dove vengono, ma non sai dove vanno.
In ogni caso non nella tua direzione.
A New York non te ne frega niente di cio' che gli altri pensano di te. Ed ecco che vedi un individuo di faccia normale, che dal collo in giù è travestito da ballerina in crinolina. Cammina spedito, e si infila sul treno. Chissà come farà a sedersi con quella gonna invadente?

Nessuno mi trattava come un turista. Forse perché giravo in bici, invece che per tour guidati. Il mio accento lo sentivano, eccome. Ma in quanti siamo ad avere un accento qui?
La prima domanda che mi facevano non era “quanti giorni starai a New York", ma “da quanto tempo sei qui”.
Domanda che poi rigiravo al mio interlocutore.
Apparentemente nessuno è nato qui. Tre milioni di cittadini newyorkesi sono nati all'estero. Senza contare quelli che cittadini non sono, ma ci vivono... Le risposte erano: Brasile, Colombia, Cuba, Messico, Caraibi, India, Turchia, Russia... Europa... Italia...
E anche Torino, si'. Vi raccontero' anche di loro.

Alcuni se ne andranno, perche' gli scade il visto o per altri motivi. Altri qui ci vivranno tutta la vita, molti metteranno su famiglia... Viene da chiedersi: in quanti poi ripartono? Di sicuro molti meno di quelli che continuano ad arrivare qui. New York racchiude tutti i paradossi di una metropoli: ad oggi 18 milioni di persone vivono qui. Un enorme agglomerato urbano, che va anche nutrito, dotato di acqua potabile, energia e quant'altro.
Tutto questo non ha senso, mi dico.

Ciononostante… forse anch’io un giorno, finirò in questo enorme buco nero.
Anche solo per qualche mese… e poi si vedrà.

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