mercoledì 24 ottobre 2012

Uomini e Cervi, una convinvenza forzata. E un po' di polemiche.



Se avete letto il post precedente, vi saresti chiesti anche voi: Com'e' possibile che uomini e cervi vivano assieme?  Vi eravate anche chiesti come fosse possibile che Lorenzo non si fosse ancora addentrato in qualcuna delle sue numerose polemiche... eccole finalmente! Anche a Yellowstone, perche' no.
Inizierei pero' con una piccola divagazione divulgativa (o divulgazione divagativa?) in stile "brutta copia di Alberto Angela". Ovvero: brutta copia della brutta copia di Piero Angela.

L’Homo sapiens e i suoi antenati sono presenti sulla scena di questo mondo da milioni di anni, e nel corso della storia recente del nostro pianeta, l’uomo ha avuto un ruolo importante nell’ecosistema. Gli animali selvatici hanno un’innata avversione verso di noi, considerandoci predatori e pertanto da evitare.
D’altra parte è nella nostra natura la curiosità e l’attrazione verso quegli stessi animali selvatici, ed ecco che i turisti di Yellowstone che tirano fuori teleobiettivi stile paparazzi per portarsi a casa un primo piano di bull elk... non sono altro che l’evoluzione imborghesita del cacciatore del Pleistocene (che tristezza, ma che ci volete fare).
E mentre è sacrosanto riconoscere e tutelare il bisogno innato di ognuno di noi di cercare il contatto con la natura e la fauna selvatica, e quindi difenderla con l’istituzione di Parchi, aree protette e regolamentazioni, non è poi così scontato che vada difesa la necessità di alcuni individui di ritrovare le proprie origini imbracciando un fucile e sparando alla fauna selvatica. Ma questa e' una divagazione nella divagazione, andiamo avanti.

Tornando a Yellowstone, in alcuni posti particolarmente affollati dai turisti sono saltati tutti gli schemi del normale rapporto uomo – fauna selvatica. Perché i wapiti vengono a pascolare tra le case e i turisti di Mammoth?

Cow elk davanti all'Hotel
Se si viene nella bella stagione, il motivo principale è chiaro, e arrivando in paese non si può non notare il verde brillante dei prati irrigati, che fa molto “campo da golf” e c’entra poco con le distese brulle e aride che caratterizzano le zone circostanti del Parco.
D’inverno poi, nonostante la neve ricopra questo scempio, i wapiti ritengono opportuno restare in paese, perché dove ci sono gli uomini non ci sono lupi, coyote e puma.

Foto di Doug Smith - Yellowstone Wolf Project
Andando a censire gli irrigatori - posa in stile crocifisso sfruttando
il piedistallo del GPS - foto Virgilio Gomez Rubio

Ed è proprio qui che il rapporto uomo - animale diventa vizioso. La convivenza con gli uomini ha fatto saltare completamente le abitudini e gli spostamenti di questi animali, regolati da un meccanismo naturale e fondamentale, la predazione da parte del lupo e degli altri carnivori.

Uno si chiede che senso abbia, nel Parco più selvaggio d’America, che i prati di Mammoth vengano irrigati. Qui dove le foreste vengono lasciate bruciare (e rigenerarsi, tranquilli) dagli incendi naturali, e dove per primi al mondo hanno capito che per preservare bisogna lasciar fare alla Natura (anche nella sua crudezza), esistono - solo a Mammoth - la bellezza di duemila irrigatori a pioggia. Lo so perche’ io e un altro stagista li abbiamo dovuti censire e geolocalizzare uno ad uno, infilandoci nei giardini delle case dei dipendenti. E venendo pure scambiati per due malviventi ispanici dalla mamma di un ranger.

Il motivo ufficiale di questo inutile spreco d’acqua è che, fin da quando, sul finire dell’Ottocento, questo avanposto nella wilderness è stato fondato, come quartier generale dell’esercito che fronteggiava bracconieri e cacciatori di pelli, i prati venivano irrigati per il benestare degli alti ufficiali che stazionavano qui. Addirittura venne livellata una collina per riversare qui la terra adatta alla crescita dell’erba, e ricoprire le sterili distese di travertino, la roccia sedimentaria calcarea che caratterizza questo luogo.



Ed essendo che in America tutto ciò che è più vecchio di 100 anni è storia, questi prati sarebbero un fattore culturale da preservare, al pari di geyser, flora, fauna e quant’altro.
Al costo di impiegare personale che monitora costantemente la localizzazione degli ungulati, per tenere alla larga i turisti più impertinenti, cercando di evitare danni a cose e persone.

E oltre ai danni dei cervi, si aggiungono i bisonti, come Chief Bison, cosi’ lo chiamavamo, che soleva ruminare qui, appena sotto la finestra del mio ufficio, che ha ridotto quasi in fin di vita un turista tedesco che si era avvicinato troppo. Poi soppresso. Il bisonte, non il turista. Alla faccia del non intervenire lasciando la natura a se stessa!

Questi pericoli però non sono un deterrente per il turismo.
Anzi. Per ogni vittima di questi incontri ravvicinati ci sono migliaia di turisti che tornano a casa vittoriosi, sfoggiando come trofeo un bel primo piano di questi animali (magari tagliando i SUV sullo sfondo che fanno un po’ zoo safari) e qualche centinaio di dollari in meno spesi tra hotel, ingresso al Parco e souvenir vari.
Insomma, il tutto a mio parere si riduce a una mera questione di immagine e marketing. Per una buona causa, vabbeh.

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